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Tradizioni

 
PASQUETTACanto augurale. Cori maschili o misti, discretamente numerosi, fanno risuonare la Pasquetta a Toro, la vigilia dell’Epifania, in Piazza del Piano, e poi, davanti alle chiese del paese e quindi davanti alle case di amici o parenti. In tutto sono dieci quartine di ottonari a rima baciata, in lingua italiana d’impronta culta o semiculta: le prime nove narrano la visita dei Re Magi a Gesù Bambino, la decima augura la buona Pasqua ai padroni di casa e agli astanti. La narrazione si snoda lungo una linea melodica a due voci pari, che tiene dietro a una introduzione, affidata alla fisarmonica o ad altro strumento solista, riproposta  poi, ogni due strofe, in chiave d’intermezzo. La struttura dell’orchestrina è tipica: non mancano mai fisarmonica o organetto, chitarra, u bufù, ‘a streculatóre (asse da bucato), acciarino (ossia una barretta d’acciaio che funge da triangolo), ai quali si accompagnano i più svariati strumenti musicali o paramusicali che l’estro suggerisce. Di norma il rito della Pasquetta non si protraeva oltre la mezzanotte ed era chiuso da un lauto banchetto notturno, offerto ai cantori dai padroni di una casa designata, ma da alcuni anni è invalsa l’abitudine o, se si vuole, la devozione di continuare a cantare per tutta la notte, sia all’aperto sia in case di amici, fino al mattino dopo, il mattino dell’Epifania, quando il canto è ripetuto un’ultima significativa volta durante la celebrazione della prima messa nella chiesa del convento, per accompagnare il tradizionale bacio del Bambino. In buona sostanza, la Pasquetta torese è stata in questi ultimissimi anni caricati di una valenza religiosa, anzi liturgica in senso stretto, che la caratterizza in maniera originale nel panorama molisano, per quanto, probabilmente, non proprio in linea con l’ispirazione laica originaria del canto.
 
  
 
LA MASCHERA DEL DIAVOLO
La maschera del Diavolo è un appuntamento tradizionale rimesso in auge nel corso degli Anni Ottanta del secolo scorso. Si finge che in paese arrivi il diavolo, in cerca di operai per la sua vigna. Egli viene accolto da una popolazione esuberante e sfrontata, da gente che non ha affatto paura di lui. Uno alla volta, alcuni abitanti, caratterizzati dal mestiere svolto, gli sfilano davanti. Ecco allora il barbiere, l’imbianchino, la maestra, il calzolaio, il macellaio, il cantiniere, le comari, il medico, confessare i peccati commessi e aspettare la sentenza. Sono tutti degni dell’inferno: tutti tranne uno, il contadino. Una volta tanto, purtroppo soltanto per burla, si rende giustizia al povero e maltrattato contadino che n' è iúte maie pe cuntate a Ture,/ ma ha sfamate a povere e segnúre.
A questo punto la rappresentazione in uso a Toro si discosta dalle analoghe rappresentazioni che si chiudono con l’assoluzione del solo contadino, mentre tutti gli altri compaesani sono condannati a seguire il diavolo all’inferno. Grazie a un colpo di scena la rappresentazione torese va oltre la satira dei pessimi costumi locali e, in barba a ogni giustizia diabolica o umana o divina, si concede un classico lieto fine, assicurato dalla devozione popolare. Infatti, dopo aver assolto il contadino e condannato tutti gli altri, il diavolo che assaporava la gioia della ricca retata di peccatori, deve rinunciare al proposito di portarseli dietro per gettarli nelle fiamme eterne, perché essi so’ agguardate, sono protetti, da San Mercurio. È amaro ammettere la sconfitta, ma davanti a San Mercurio, Santo guerriero e Patrono di Toro, il Maligno deve arretrare. È costretto a tornare da solo tra le fiamme degl’inferi, deriso e sbeffeggiato dai toresi che si danno a balli e canti.
 
  
  
CONVITO DI S. GIUSEPPE
Originariamente il convito di San Giuseppe nasce come occasione per le famiglie benestanti di offrire ai poveri, oltre che una giornata da trascorrere in compagnia, un pasto molto sostanzioso rispetto a quello che erano soliti consumare. Così i meno fortunati avevano la possibilità di riempirsi la pancia e di alleviare le proprie sofferenze provando a dimenticare, anche se solo per un giorno, la loro infelice condizione. Della tradizione oggi resta sicuramente l’abbondante banchetto, ma lo scopo originario si è tramutato in una occasione per stare a tavola con amici, parenti e vicini di casa. Il pranzo, preceduto da preghiere in onore del Santo, prevede una serie di numerose pietanze, alcune più tradizionali, altre meno. Si è soliti iniziare con minestra e fagioli rigorosamente cucinati dentro ‘a pegnate (recipiente in terracotta utilizzato per cucinare pietanze direttamente nel camino), per poi proseguire con maccheroni con tonno e alici, maccheroni con la mollica, baccalà arraganate, fino ad arrivare ai cavezune (sfoglie con ripieno di ceci e miele), al riso con il latte e, recentemente, all’immancabile zeppola. 
 
 
 
PASSIONE
È dagli Anni Ottanta del secolo scorso che la Pro Loco di Toro, insieme agli abitanti del paese, si impegna nel periodo pasquale ad organizzare la rappresentazione della Passione. L’impegno riguarda non solo la scelta dei figuranti e dei protagonisti più adatti, ma anche l’allestimento degli scenari scelti tra i luoghi più suggestivi del paese. Vengono narrate e riprodotte le tappe più importanti degli ultimi momenti della vita del Cristo, come: l’ultima cena, l’orto degli ulivi, il tradimento di Giuda, il processo di fronte a Pilato. Si arriva, dopo le varie cadute, al piazzale antistante il Convento di S. Maria di Loreto, dove si ricostruisce il Calvario e si svolge la commovente scena finale della crocifissione.
 
 
FUOCHI DI S. ANTONIOL’usanza torese vede nella prima tredicina di giugno l’accensione di fuochi in onore di S. Antonio da Padova. Diverse vie e “viarelle”, molte di più nel passato rispetto ad oggi, vengono così illuminate e riscaldate dalle vive fiamme del fuoco che attira attorno a se molti degli abitanti del vicinato. La tradizione voleva che l’accensione dei fuochi rappresentasse un rito religioso: lo scopo infatti era quello di riunirsi attorno al falò per pregare in onore del Santo. Con il trascorrere degli anni questo rito ha perso in parte il significato originario: il raccogliersi attorno al fuoco è divenuto, infatti, un momento di aggregazione per trascorrere una piacevole serata di inizio estate. Oggi la tradizione che vede quale momento più importante l’accensione del fuoco più grande, quello della tredicesima e ultima sera, durante la quale, in cima alla catasta di legna e ginestre, viene fatto ardere un fantoccio di pezze e stracci, detto la Bamboletta. Con il sottofondo dello schioppettio tipico delle ginestre si gustano così, in compagnia, gustosi cavatelli e altre prelibatezze unite ad un buon bicchiere di vino.
 
 
 
CONVITO DI S. ROCCO
Scrive Francesco Jovine nel Viaggio nel Molise: “... c'é da chiedersi fino a quando potremo godere dei benefici offerti da queste donne semplici e generose. Forse ancora per pochi anni se qualcuno non interverrà per accompagnare, continuare e preservare questa tradizione che resta... una specie di gioiello... da custodire ad ogni costo”. Lo scrittore si riferiva alle tavolate allestite a Casacalenda in occasione del Convito di San Giuseppe, ma la domanda e le considerazioni si possono allargare anche al Convito di San Rocco, e trovano sicuramente d’accordo i membri dell’Associazione “Il Nostro Paese”.
Dal 2008 infatti, l'associazione organizza ogni 16 agosto “La Tavola della Solidarietà”, una manifestazione che mantiene in vita la tradizione locale del Convito di San Rocco e la tramanda alle generazioni future. Attraverso una macchina organizzatrice che conta quasi cento persone, è riproposto l’intero menù di San Rocco ad un prezzo equo, destinando parte del ricavato a interventi in favore dei più bisognosi (terremotati dell’Abruzzo, terremotati dell’Emilia, famiglie indigenti locali, solo per menzionare alcuni esempi) e offrendo invece ai malati, agli allettati e alle famiglie meno abbienti gratuitamente il pasto con consegna a domicilio dello stesso. La manifestazione è annoverata tra le più importanti sia per il numero dei partecipanti, ma anche e soprattutto perché mantiene in vita una tradizione ormai in disuso tra le famiglie comuni.